Pubblico qui una lettera della mia amica Janis Joyce, rivolta al critico Beppe Sebaste che ha “recensito” il suo libro, Seventy sex, per l’Unità.
La pubblico perché la condivido appieno, la pubblico perché mi fa incazzare da morire che ci siano critici che recensiscono i libri ammettendo esplicitamente di non averli neppure letti, la pubblico perché detesto le discriminazioni e Sebaste ha discriminato la mia amica perchè è una donna che scrive di sesso. E anche questo mi fa incazzare da morire. E in ogni caso, i diritti del lettore (puoi abbandonare un libro quando vuoi, se non ti piace etc.) non valgono per il recensore: se fai delle critiche prima leggi! Sebaste, il libro di Janis è bello, il sesso è bello, quando è libero e consapevole. Te lo dice una donna e una scrittrice. Spero non ti dia troppo fastidio…
Il signor Beppe Sebaste, su L’Unità del 20 febbraio scorso, ha preso in considerazione un libro. Se così si può dire di ciò che ha fatto con il mio (Seventy sex, Transeuropa). L’ha fatto in modo decisamente inconsueto. Cioè, senza leggerlo.
Ora, un romanzo può piacere o non piacere, ovvio, legittimo, ma quando ne parli da giornalista, da persona il cui lavoro è pagato per essere informata e informarci, sarebbe necessario almeno fare lo sforzo di leggere un libro fino in fondo. Invece no, Beppe Sebaste può impunemente dichiarare di essersi fermato, dopo aver iniziato a leggere il mio “anestetico elenco di masturbazioni e scopate”. Si è sentito legittimato, in questo, dall’irritazione che gli ha procurato la campagna di marketing messa su da una casa editrice che voleva (orrore!) vendere il libro. Curioso accanimento sui paratesti.
In un articolo di una colonna, Sebaste passa metà dello spazio disponibile a cincischiare, pontificando sul berlusconismo come categoria dello spirito e soffermandosi sul concorso di cui riporta, con scrupolosità di archivista, tre indizi per intero.
Poi, ecco che arriva il giudizio sul romanzo – anzi “romanzo” virgolettato da par suo. Non ci vuole molto per notare come la chiave di tutta questa ponderata dissertazione giaccia però in una frase precisa: il “romanzo” in questione è “scritto da una donna che si firma con lo pseudonimo di Janis Joyce”. In un articolo del genere, sono i dettagli a contare, come la sottolineatura del mio essere, (ahimé) donna. Poteva limitarsi ad annotare lo pseudonimo, invece no, è più forte di lui, deve dirlo che sono donna, e che sono una donna che osa parlare di sesso con una certa libertà (“come se lo avesse inventato lei” si indigna il critico-scrittore).
Ed ecco palesarsi gli stessi fantasmi che fecero dire, al buon Nicola Lagioia, che Melissa P. “bisognerebbe metterla a 90 gradi su un tavolo e infilarle su per il sedere Lolita di Nabokov, sperando che qualcosa le passi per osmosi”. Almeno, la battuta di Lagioia era divertente, pur trasudando maschilismo. La “recensione” di Sebaste si limita al maschilismo e a un po’ di sociologia all’amatriciana, sperando che basti.
Non si preoccupi Sebaste: nell’Italia di oggi può bastare.
L’atteggiamento di certi intellettuali sottilmente misogini è l’altra faccia del berlusconismo svilisci-donne che tanto li preoccupa, ma loro no, non se accorgono. Mi chiedo se qualcosa sarebbe cambiato se a scrivere il romanzo fosse stato “un uomo che si firma con lo pseudonimo di Jimi Joyce”. Intanto è vero che questa mia lettera è stata censurata dalla caporedattrice cultura dell’Unità, Stefania Scateni, e dalla sua direttrice Concita De Gregorio, che non mi ha di fatto concesso il diritto di replica, pur avendomelo assicurato via mail.
Il mio analista mi ha confermato che i maschi di tipo alfa provano un fastidio intollerabile nel vedere una donna che parla di sesso come fosse un uomo, con la stessa autorità di parola e la stessa consapevolezza dei propri desideri. Non vuole sentirla parlare di orgasmi simulati, di dubbi, paure, curiosità, impacci, masturbazione femminile (cos’è?), amori deludenti, dolori, speranze.
In genere, il maschio alfa non tollera che la donna parli di sesso o di qualsiasi cosa che da tempi immemori considera come roba sua. Potremmo aggiungere allora: il calcio, la politica, la critica letteraria (si veda la patetica recensione di Angelo Guglielmi al nuovo libro di Carla Benedetti)… E noi donne stiamo qui, a beccarci sulle scarpe le pisciatine di tutti questi maschi alfa, troppo occupati a marchiare il territorio per pensare, anche solo un momento, di degnarsi di scrivere una recensione, invece che una “recensione”.
Janis Joyce